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Tag: Salumi

Pitina IGP, storia e curiosità!

Mai sentita nominare? Beh.. in questo articolo te la introduciamo noi! Stiamo parlando della “misconosciuta” Pitina IGP! Un salume friulano tipico di alcune zone montane del Friuli Venezia Giulia!

Ma.. dove nasce di preciso?

val tramontina

La Pitina, chiamata anche Peta o Petuccia, è una “polpetta di carne affumicata” tipica delle Prealpi Carniche in Friuli Venezia Giulia. Ha origine nelle zone montane della Regione, in particolare nelle valli della Val Tramontina, Valcellina e Val Colvera.

Le origini della Pitina risalgono almeno all’inizio dell’Ottocento, quando gli abitanti delle borgate di Frassaneit, nell’attuale comune di Tramonti di Sopra, la inventarono per conservare la carne. Queste zone sono state proprio identificate come il luogo di origine della Pitina nel 1800. Ancora oggi, Tramonti di Sopra ospita la “Festa della Pitina”, dal 1969.

 

Dove si produce oggi per ottenere il marchio IGP

logo igpOggi, la produzione della Pitina IGP, per poter ottenere questo riconoscimento di qualità, deve attenersi a quanto stabilito dal disciplinare di produzione. Questo documento indica anche quali carni sono ammesse per la sua preparazione e delimita l’area geografica di produzione.

Ecco le informazioni principali:
Area Geografica: La Pitina IGP può essere prodotta esclusivamente nella provincia di Pordenone, in particolare nei territori comunali di Andreis, Barcis, Cavasso Nuovo, Cimolais, Claut, Erto e Casso, Frisanco, Maniago, Meduno, Montereale Valcellina, Tramonti di Sopra e Tramonti di Sotto.
Lavorazione: Mentre un tempo la lavorazione avveniva nelle cucine o nei “camarin” delle case, oggi si svolge nei laboratori delle macellerie, seguendo le norme igienico-sanitarie. L’affumicatura, tradizionalmente fatta nei camini domestici, si effettua in appositi affumicatoi in acciaio.
Tradizione e Innovazione: Nonostante l’evoluzione delle tecniche di produzione, la Pitina IGP mantiene un forte legame con il territorio e le sue tradizioni. La ricetta, tramandata di generazione in generazione, prevede l’utilizzo di ingredienti semplici e genuini, provenienti dalle vallate circostanti.

Per quale motivo nasce?

La Pitina nasce dalla necessità delle popolazioni montane del Friuli Venezia Giulia di conservare la carne il più a lungo possibile, soprattutto durante l’inverno, quando le risorse erano scarse.
Ecco i motivi principali:

Mancanza di sale: La posizione geografica delle valli, lontane dal mare, rendeva difficile e costoso l’approvvigionamento del sale, principale metodo di conservazione delle carni a quei tempi.
Abbondanza di selvaggina e animali da allevamento: La caccia e l’allevamento di ovini, caprini e suini fornivano una fonte di carne che doveva essere conservata per essere consumata durante tutto l’anno.
Scoperta dell’affumicatura: L’affumicatura, tecnica di origine celto-germanica, si è rivelata un metodo efficace per conservare la carne, sfruttando il fumo prodotto dai focolari domestici, sempre accesi durante i mesi freddi.
Sfruttamento degli scarti: La Pitina permetteva di utilizzare anche le parti meno pregiate della carne, come quelle di scarto o provenienti da animali feriti o macellati per necessità.
Farina di mais come involucro: La farina di mais, ingrediente tipico delle zone montane, veniva utilizzata come involucro per le polpette di carne, in mancanza di budelli difficili da reperire.
La Pitina rappresenta quindi un esempio di come le popolazioni montane abbiano saputo sfruttare al meglio le risorse a disposizione, trasformando una necessità in una prelibatezza gastronomica.

carni    

Come degustare la Pitina IGP?

La Pitina, salume affumicato originario delle valli del pordenonese, si presta a diverse modalità di degustazione, sia come ingrediente principale che come accompagnamento ad altri sapori.
Ecco alcuni suggerimenti su come gustare al meglio la Pitina:
Cruda: Tagliata a fette sottili, la Pitina può essere gustata come antipasto o merenda, accompagnata da pane casereccio, formaggi freschi o stagionati e un buon bicchiere di vino rosso friulano.
Nel brodo: Un piatto tradizionale è la Pitina nel brodo di polenta, dove le fette di Pitina vengono aggiunte al brodo caldo, rilasciando il loro sapore intenso e aromatico.
Con la polenta: La Pitina si sposa perfettamente con la polenta, sia calda che fredda. Si può servire sbriciolata sulla polenta morbida, oppure a fette come accompagnamento a una polenta più consistente.
Nelle zuppe o nei piatti a base di orzo: La Pitina può essere utilizzata per insaporire zuppe di verdure, orzotti o legumi, aggiungendola a cubetti durante la cottura.
Alla brace: Un’altra modalità di degustazione è cuocere la Pitina alla brace, ottenendo un sapore ancora più intenso e una consistenza leggermente croccante. Si può servire con un contorno di verdure grigliate.
Scottata nell’aceto: Simile alla preparazione del salame con l’aceto, tipico del Friuli Venezia Giulia, la Pitina scottata nell’aceto è un piatto saporito e stuzzicante

Ricette gourmet: Negli ultimi anni, la Pitina ha conquistato anche la cucina gourmet, diventando protagonista di piatti creativi e raffinati, come risotti, pasta fresca e secondi piatti.

Abbinamenti: Per esaltare il sapore deciso della Pitina, si consigliano vini rossi corposi e strutturati, come il Refosco dal Peduncolo Rosso o il Schiopettino, oppure vini bianchi morbidi e aromatici, come il Verduzzo Friulano o la Ribolla Gialla.
Consigli:
● Scegliere Pitina di qualità, preferibilmente IGP, a garanzia dell’origine e della lavorazione tradizionale.
● Conservare la Pitina in un luogo fresco e asciutto, avvolta in un canovaccio di cotone o carta per alimenti.
● Prima di consumarla cruda, togliere la farina di mais in eccesso con un coltello.
● Sperimentare diverse ricette e abbinamenti per scoprire il proprio modo preferito di gustare la Pitina.

Prosciutto di San Daniele Dop, scopri la storia

Se sei un amante o un estimatore del Prosciutto Crudo di San Daniele DOP.. questo articolo susciterà la tua curiosità!

Primi cenni storici

I primi riferimenti storici alla produzione di prosciutto a San Daniele risalgono all’epoca dei Celti, che usavano i maiali come fonte di cibo. Reperti archeologici nella Chiesa di San Daniele in Castello indicano che i maiali erano già utilizzati per l’alimentazione tra l’XI e l’VIII secolo a.C..

Nel Medioevo, l’allevamento dei suini e la norcineria si svilupparono ulteriormente, rendendo la carne di maiale una parte sempre più importante della dieta friulana. Un manoscritto del 1453, “De Conservanda Sanitate”, del medico Geremia Simeoni, suggeriva di consumare come antipasto le parti magre del maiale conservate sotto sale.

Nel 1563, durante il Concilio di Trento, i delegati consumarono una notevole quantità di prosciutto di San Daniele, come testimoniato da un documento del 1° luglio 1563.

La reputazione del prosciutto crebbe nel corso dei secoli, tanto che nel 1798 gli ufficiali dell’esercito napoleonico ne saccheggiarono una grande quantità, insieme ai tesori della Biblioteca Guarneriana. Dopo l’annessione del Friuli al Regno d’Italia nel 1866, il prosciutto di San Daniele si diffuse in tutto il paese e nelle corti europee.

Perché proprio San Daniele?

Il prosciutto si produce a San Daniele grazie a una combinazione unica di fattori che si trovano in questa specifica area geografica.

San Daniele del Friuli  S.Daniele del Friuli.

Microclima: La posizione geografica di San Daniele del Friuli crea un microclima ideale per la stagionatura del prosciutto. Situata tra le Prealpi Carniche e il Mare Adriatico, la città gode di una ventilazione costante dovuta all’incontro tra la brezza marina calda e umida proveniente dal mare Adriatico e i venti freddi che scendono dalle Alpi. Il fiume Tagliamento svolge un ruolo fondamentale in questo processo, agendo come un “climatizzatore” naturale e regolando il flusso d’aria, la temperatura e l’umidità.

Territorio: L’orografia del territorio, con la sua origine morenica, conferisce al terreno un’elevata capacità igroscopica, favorendo il drenaggio dell’umidità, fattore essenziale per la stagionatura del prosciutto.

Tradizione: Le origini della produzione di prosciutto a San Daniele sono antiche e risalgono, come citato sopra, ai Celti. La storia appunto testimonia come la produzione di prosciutto in questa zona sia stata costante e apprezzata nei secoli.

La combinazione di questi fattori – il microclima unico, le caratteristiche del territorio e la lunga tradizione – ha reso San Daniele il luogo ideale per la produzione di questo prosciutto, conferendogli un sapore e un aroma unici e inimitabili.

Qual è l’origine del nome “prosciutto”?

L’origine del nome “prosciutto” è da ricercarsi nel latino. Gli studiosi hanno identificato due possibili origini della parola:

Pro + exsuctus: Alcuni ritengono che derivi dalla particella pro, che indica l’anteriorità di un’azione, e da exsuctus, participio passato del verbo exsugere, che significa “spremere” o “inaridire”.

Prae suctus: Altri studiosi propendono per prae suctus, che significa “succhiato”.

Entrambe le ipotesi, comunque, si riferiscono al processo di lavorazione della carne e alla sua stagionatura.

Perché la caratteristica forma a “chitarra”?

Prosciutti Bagatto

Il Prosciutto di San Daniele DOP è noto per la sua caratteristica forma “a chitarra”, che viene creata durante la fase di pressatura del processo produttivo. Durante la pressatura, la coscia di suino viene pressata uniformemente per 24-48 ore, il che fa sì che i liquidi in eccesso vengano drenati e la coscia assuma la sua forma unica.

Questa forma non è solo una caratteristica estetica, ma è anche importante per garantire una stagionatura ottimale. È tra l’altro, un tratto distintivo e riconoscitivo “chiave” di questo prosciutto rispetto ad altri.

La materia prima è importante

Le materie prime utilizzate esclusivamente per la produzione del Prosciutto di San Daniele DOP sono cosce di suino selezionate e sale marino.

Il disciplinare di produzione del Prosciutto di San Daniele DOP specifica che non vengono utilizzati conservanti nella produzione del prosciutto. I suini devono essere nati, allevati e macellati in Italia,  in particolare in dieci regioni del centro – nord (Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Marche, Umbria, Toscana, Lazio, Abruzzo). Il microclima unico di San Daniele del Friuli, come specificato sopra,  è anche considerato un fattore chiave nella produzione del Prosciutto di San Daniele DOP, anche se non è una “materia prima”, ma è estremamente fondamentale per garantirne il sapore caratteristico.

 

…adesso che hai qualche nozione in più in merito a quanto sia buono e speciale questo prodotto, non ti rimane che provarlo! Trovi qui i nostri! -> PROSCIUTTO S. DANIELE DOP

Come si distingue il prosciutto San Daniele DOP

Il prosciutto San Daniele DOP è un’eccellenza italiana, che nasce a San Daniele del Friuli, rinomata per il suo sapore unico e per la sua ottima qualità.

Questo prodotto della gastronomia friulana rappresenta secoli di tradizione artigianale, con le sue caratteristiche distintive e la sua tipicità, custodite dal Consorzio del Prosciutto di San Daniele.

Leggi questo articolo per scoprire come riconoscere l’autenticità di questo prosciutto, grazie al marchio, al territorio di produzione e alle caratteristiche uniche di aroma, gusto, forma e consistenza.

Come riconoscere il prosciutto San Daniele DOP autentico

L’aspetto chiave più importante ed evidente per poter identificare un autentico prosciutto San Daniele è il marchio a fuoco del consorzio, che rappresenta un segno distintivo di garanzia di qualità e controllo.

Come nasce il marchio?
Negli anni ‘60 nasce il disciplinare di produzione di questo prosciutto, con lo scopo di regolare la produzione del San Daniele DOP e di sottoporlo a rigorosi controlli. Questi controlli sono effettuati sull’allevamento, verificando l’origine della carne e il tipo di alimentazione degli animali; ma anche sulle cosce che arrivano a San Daniele.

Negli anni ‘80 il disciplinare di produzione è passato ad un ente terzo di certificazione, chiamato IFCQ, che si occupa di marchiare le cosce che sono in possesso di tutti i requisiti, a seguito di controlli su allevamenti e produttori.

Il marchio a fuoco permette anche di conoscere la data di inizio della stagionatura!

dop Inoltre, il prosciutto di San Daniele è certificato DOP (Denominazione di Origine Protetta), poiché può essere prodotto solo in una determinata zona geografica. Se vuoi scoprire di più sulle varie denominazioni dei prodotti, come DOP, DOC, IGP e così via, ti consigliamo di leggere il nostro articolo a riguardo, che trovi qui!

Il territorio di produzione

Nel caso del San Daniele la zona geografica di produzione è molto ristretta, infatti include solamente il comune di San Daniele. Questa area particolarmente ristretta assicura l’accesso del prodotto al particolare microclima del luogo.

san daniele del friuliIl paese di San Daniele del Friuli si trova a metà strada fra le Prealpi Carniche e il Mare Adriatico, ad un’altitudine di 252m slm. Questo paese è immerso in un bellissimo paesaggio collinare, ricco di corsi d’acqua, di laghi e di vasti boschi. Esplorando la cittadina, si possono visitare monumenti artistici, come la Chiesa di Sant’Antonio Abate, che conserva un meraviglioso ciclo di affreschi rinascimentali, o il Duomo.

Inoltre, a San Daniele è possibile visitare la più antica biblioteca della regione, ovvero la Biblioteca Guarneriana.

Fra le varie specialità del luogo, oltre al prosciutto, è nota anche la trota, che viene allevata nelle acque del fiume Tagliamento.

Le caratteristiche uniche del San Daniele DOP

Il prosciutto San Daniele DOP si riconosce grazie alle sue caratteristiche uniche, che è possibile apprezzare con tutti e cinque i sensi, dal gusto, all’olfatto e alla consistenza!

Forma e dimensioni
Questo prosciutto si distingue da qualsiasi altro prosciutto crudo perché viene mantenuta la zampa per intero. Essa è importante nel processo di stagionatura, in quanto permette all’umidità di evaporare verso l’alto, grazie all’osso poroso.

Dunque, se un prosciutto non ha la zampa non si tratta di un San Daniele DOP!

La tipica forma a chitarra che lo contraddistingue è ottenuta attraverso il procedimento della pressatura.

Colore e consistenza
Il colore della fetta di prosciutto varia dal rosa al rosso, mentre il grasso è bianco o leggermente rosato. Per quanto riguarda la consistenza, con una corretta stagionatura mantiene l’elasticità, ma anche la compattezza.

Il gusto
Il prosciutto di San Daniele DOP intorno al tredicesimo mese di stagionatura raggiunge il bouquet aromatico che lo caratterizza.

Per poter controllare gli aromi del prosciutto durante la stagionatura, può essere utilizzato un ago o un ossicino di cavallo lungo e appuntito, che viene inserito nella coscia e che trattiene i profumi con la sua porosità.

Come ci spiega il Prosciuttificio Prolongo nel video che trovi qui, sono principalmente due i profumi che si riscontrano:

  • quello della parte grassa, dall’aroma che richiama il burro di malga, con sentori di fieno e, in alcuni casi, con una piccola nota acida;
  • quello della parte magra, che si sviluppa grazie all’aumento della temperatura estiva, che fa partire una fermentazione enzimatica. Questa parte presenta accenni di nocciola, soprattutto se viene stagionato in modo naturale.

Questi aromi delicati sono indici di una corretta stagionatura e creano un’esperienza sensoriale unica con ogni fetta di San Daniele.

La fetta perfetta si ottiene quando si allineano i tempi di stagionatura della parte grassa e della parte magra. Quella grassa deve avere una buona profumazione e deve perdere fibrosità, mentre quella magra deve essere caratterizzata da compattezza ed elasticità.

Scopri il prosciutto San Daniele DOP sul nostro sito, creato direttamente dai piccoli produttori locali, che si impegnano a creare un prodotto eccellente, genuino e inconfondibile!

Se vuoi scoprire di più su questo tesoro culinario friulano, puoi visitare il sito del Consorzio, qui, e leggere gli altri articoli a riguardo che trovi nel nostro Food Blog.

Breve guida al prosciutto di San Daniele DOP

Fra le varie specialità friulane, il prosciutto crudo di San Daniele DOP è sicuramente uno dei prodotti più apprezzati per la sua qualità e il suo gusto delicato e inconfondibile.

Se l’hai già assaggiato, saprai sicuramente riconoscere il suo aroma caratteristico, dato dai pochi ingredienti selezionati con cui viene prodotto questo prosciutto e dalla dedizione degli artigiani che lo producono.

Se sei curioso di scoprire qualche consiglio per gustare al meglio il prosciutto di San Daniele, leggi l’articolo!

Il prosciutto crudo di San Daniele DOP

prosciutto di san daniele intero disossatoCome afferma il Consorzio del Prosciutto di San Daniele, che si occupa di tutelare la qualità dell’alimento, gli unici ingredienti utilizzati per la sua produzione sono le cosce di suino allevato in Italia, il sale marino e il microclima caratteristico di San Daniele. Anche se può non sembrare un ingrediente vero e proprio, quest’ultimo gioca un ruolo fondamentale nella produzione e senza di esso il prosciutto non avrebbe il suo inconfondibile aroma.

La lavorazione artigianale del prosciutto avviene nel rispetto di una tradizione tramandata attraverso le generazioni da secoli!

Se sei interessato a conoscere la storia e le fasi di produzione del San Daniele, puoi visitare il sito del Consorzio e leggere il nostro articolo, che trovi qui.

Ora passiamo alla nostra breve guida, comprensiva di qualche consiglio pratico per gustare appieno questo prodotto unico. Ti accompagneremo dal momento della scelta e dell’acquisto a quello della conservazione!

Prima di tutto, che parte del prosciutto scegliere?
La nostra risposta è: dipende! Sia dai tuoi gusti personali che da eventuali necessità per l’utilizzo in cucina nelle tue ricette.

Per aiutarti nella scelta, ecco le diverse parti da cui è composto il prosciutto, con le relative caratteristiche:

  • il fiocco, ovvero la parte più magra della coscia, caratterizzata anche dal gusto molto saporito;
  • la culatta, detta anche punta, che è particolarmente marmorizzata perché il grasso e la parte magra si fondono. La fetta di culatta risulta burrosa e carica di profumo;
  • lo stinco, o gambuccio, è la parte finale della coscia, protetta interamente dalla cotenna. Questa parte è la più dolce e morbida del prosciutto.

A questo punto, resta un’altra domanda da farsi, ovvero “con o senza cotenna”?
Anche in questo caso, dipende dai gusti personali e, soprattutto, da questioni più pratiche. Infatti, il prosciutto senza cotenna è senza dubbio il più “comodo”, perché è già pulito e pronto per essere tagliato e servito in tavola.

Un consiglio in più…
Puoi tagliare il prosciutto di San Daniele DOP a mano, ma ti consigliamo di farlo con l’affettatrice se ne hai la possibilità per creare delle fette più sottili e uniformi, pulendo mano a mano dalla cotenna se presente.

A questo proposito, come deve essere la fetta perfetta di prosciutto? Ce lo spiega il Prosciuttificio Prolongo nel video che trovi qui sotto!

La fetta perfetta si ottiene quando si riescono ad allineare i tempi di stagionatura della parte grassa e di quella magra. La parte più grassa deve avere una buona profumazione, non essere eccessivamente fibrosa e amalgamarsi con la parte magra, che è compatta ed elastica. Questa situazione viene raggiunta intorno ai 18 mesi di stagionatura.

Infatti, da disciplinare di produzione, il San Daniele ha una stagionatura minima di 13 mesi, fino ad arrivare a 24 mesi.

Come conservare il prosciutto

A seguito dell’acquisto del prosciutto di San Daniele, bisogna conservarlo nel modo giusto per mantenere intatte le sue caratteristiche uniche e il suo aroma. Ecco come fare…

Puoi trovare il buonissimo prosciutto di San Daniele DOP sul nostro sito, creato con tanta passione e dedizione direttamente dai produttori del Friuli. Scopri i produttori qui!

Tutti i nostri prosciutti viaggiano con trasporto refrigerato e rigorosamente sottovuoto, per preservarli dalla partenza all’arrivo del prodotto.

Naturalmente, il metodo di conservazione varia se il prodotto non è ancora stato aperto o se è già stato tirato fuori dalla confezione:

  • il prosciutto disossato confezionato si conserva in frigorifero fino a 6 mesi;
  • il prosciutto, una volta aperto, va tenuto in frigorifero ad una temperatura da +4°C a + 7°C.

Inoltre, ti consigliamo di mettere un panno umido o un velo di pellicola sottile sul taglio per proteggerlo.

A questo punto non ti resta che gustare questa eccellenza gastronomica della regione con qualche crostino e qualche buon formaggio artigianale della tradizione friulana, come il Montasio DOP. Buon appetito!

Il Prosciutto di San Daniele DOP: un’eccellenza gastronomica

Il prosciutto di San Daniele DOP è uno dei gioielli della gastronomia italiana, un prodotto di ottima qualità e dal gusto unico e inconfondibile, che incarna secoli di tradizione artigianale.
La sua eccellente qualità è custodita dal Consorzio del Prosciutto di San Daniele, che si occupa di “salvaguardare la tipicità e le caratteristiche del prodotto”.

Leggi questo articolo per scoprire le origini di questa eccellenza friulana, la sua produzione e qualche curiosità interessante!

Storia e origini del prosciutto di San Daniele DOP

La storia del prosciutto di San Daniele ha radici molto più antiche di quanto si possa immaginare, risalendo addirittura all’epoca protostorica, fra l’XI e l’VIII secolo a.C.
Infatti, come testimoniano alcuni ritrovamenti archeologici emersi dalle indagini condotte nella Chiesa di San Daniele in Castello, risulta che già a quell’epoca la carne di maiale veniva utilizzata per l’alimentazione a San Daniele del Friuli. È invece nel Medioevo che si sviluppano le pratiche dell’allevamento e della norcineria.

Una curiosità storica…
Nel 1798 gli ufficiali dell’esercito napoleonico furono così colpiti dal gusto del Prosciutto di San Daniele, che decisero di rubarne una grande quantità insieme ai gioielli custoditi nella Biblioteca Guarneriana.

Scopri di più sulla storia del Prosciutto di San Daniele DOP sul sito del Consorzio!

prosciutto san daniele dop prosciuttificio prolongoLa produzione del prosciutto di San Daniele DOP

Prima di affrontare le diverse fasi di produzione di questo prosciutto, è necessario distinguere le parti che lo compongono.

Il Prosciutto di San Daniele DOP può essere suddiviso in 3 parti principali, ognuna caratterizzata da un sapore diverso:

  • il fiocco, che è la parte più magra della coscia ed è molto saporito;
  • la culatta, detta anche punta, che è molto marmorizzata perché il grasso e la parte magra si fondono. La fetta di culatta risulta burrosa e carica di profumi;
  • lo stinco, o gambuccio, che è la parte finale della coscia, protetta interamente dalla cotenna. Questa parte è la più dolce e morbida del prosciutto.

Guarda il video in cui il Prosciuttificio Prolongo illustra le diverse delle parti del prosciutto!

prosciutti san daniele dop

Il processo di produzione del Prosciutto di San Daniele richiede tempo, cura e molta attenzione ai dettagli.

Partiamo dalla base… gli ingredienti!
Come afferma il Consorzio, “cosce di suino allevato in Italia, sale marino e il caratteristico microclima di San Daniele del Friuli” sono gli unici tre ingredienti di questo prosciutto. Infatti, il microclima di San Daniele gioca un ruolo fondamentale nella creazione del prosciutto e del suo inconfondibile aroma.

La lavorazione artigianale del prosciutto avviene nel rispetto di una tradizione tramandata da secoli attraverso le generazioni. L’assenza di conservanti artificiali e l’utilizzo del sale marino esaltano il sapore autentico del prosciutto.

Vediamo adesso le diverse fasi di produzione:

  1. La prima fase è quella della selezione e rifilatura delle cosce, che, dopo aver passato il preliminare controllo di conformità, sono rifilate e conservate per circa 24 ore a bassa temperatura per rassodare la parte magra.
  2. La seconda fase è quella della salatura. Dopo essere state raffreddate, le cosce vengono ricoperte di sale marino e rimangono sotto sale per un numero di giorni che equivale al loro peso in chili, come da tradizione.
  3. La terza fase è quella della pressatura, in cui viene rimosso il sale residuo dalle cosce, che vengono poi pressate per dare alla carne la consistenza idonea alla stagionatura.
  4. In seguito alla pressatura, le cosce di prosciutto sono lasciate a riposare in ambienti con temperatura e umidità ottimale, fino al quarto mese.
  5. Successivamente al riposo, il prosciutto è lavato con getti d’acqua, per tonificare la carne e stimolare la maturazione.
  6. La sesta fase è quella dell’asciugatura, in cui, per circa una settimana, la carne è fatta “rinvenire” a temperature medie.
  7. In seguito avviene la stagionatura delle cosce, che sono trasferite in saloni appositi con temperatura e umidità naturali. Da disciplinare, la stagionatura si protrae “almeno fino al quattordicesimo giorno dall’inizio della lavorazione
  8. L’ottava fase è quella della sugnatura. Un impasto di grasso e farina, chiamato “sugna”, è applicato sulla parte esposta della carne, che non è ricoperta dalla cotenna.
  9. Il penultimo passaggio è quello della puntatura, in cui viene inserito un osso di cavallo in alcuni punti della coscia per controllare gli aromi e i profumi. Questa fase serve per capire a che punto è la stagionatura del prosciutto.
  10. Infine, avviene la marchiatura a fuoco, “dopo quattrocento giorni dall’inizio della lavorazione”, solamente per i prosciutti che rispettano i requisiti del Disciplinare di Produzione.

A questo punto il prosciutto di San Daniele DOP è pronto per essere commercializzato e per arrivare sulla tua tavola.

Qualche consiglio in più

Adesso conosci come viene prodotto il prosciutto di San Daniele DOP, ma non vogliamo lasciarti così, ecco qualche consiglio per godertelo al meglio!

LA FETTA PERFETTA
Se ti sei mai chiesto come dovrebbe essere la fetta perfetta di prosciutto, lo spiega il Prosciuttificio Prolongo!
La fetta perfetta si ottiene quando si riescono ad allineare i tempi di stagionatura della parte grassa e di quella magra. La parte grassa deve perdere fibrosità, avere una buona profumazione e amalgamarsi con la parte magra, che è caratterizzata da compattezza ed elasticità. Tutto questo viene raggiunto intorno ai 18 mesi di stagionatura.

CONSERVAZIONE
Dopo aver comprato il prosciutto, sai come conservarlo? Ecco una breve guida su come conservare al meglio il prosciutto di San Daniele, per preservare le sue caratteristiche uniche e il suo aroma!

Prima di tutto, se lo acquisti sul nostro sito, tutti i nostri prosciutti viaggiano con trasporto refrigerato e rigorosamente sottovuoto, per preservarli dalla partenza fino all’arrivo.
Il prosciutto disossato e confezionato si conserva in frigorifero fino a 6 mesi. Una volta aperto, va tenuto nel frigorifero a una temperatura da +4°C a +7°C.
Per proteggerlo, metti un panno umido o un velo di pellicola sottile sul taglio.

CON O SENZA COTENNA?
È una domanda comune che ha una risposta molto semplice: dipende! Infatti, non c’è una versione migliore dell’altra.
Senza dubbio, il prosciutto più pratico è quello senza cotenna, perché è già “pulito” e pronto per essere tagliato.

Per quanto riguarda il taglio, si può tagliare a mano o, meglio ancora, con l’affettatrice, pulendolo man mano dalla cotenna, qualora vi sia.

3 Abbinamenti

Per concludere, ecco qualche abbinamento per gustare al meglio questo eccellente prosciutto!

Il tagliere tradizionale
Se hai programmato un aperitivo e vuoi stupire i tuoi ospiti con un tagliere semplice ma speciale, prova il prosciutto crudo di San Daniele DOP con qualche formaggio della tradizione, come il Latteria o il Montasio DOP e qualche crostino. Aggiungi un bel bicchiere di vino rosso friulano e l’aperitivo è pronto!

Il Pic Nic Friulano
Uno dei modi migliori per godersi una bella giornata di sole è proprio un pic nic e il prosciutto crudo di San Daniele DOP di certo non può mancare nel cestino! Trovi qui la box che contiene tutti gli ingredienti per fare un Pic Nic 100% friulano!

Una combinazione da non perdere
Il vino Ramandolo è un vino passito “dolce e non dolce”, che si presta molto bene all’abbinamento con la pasticceria secca, ma soprattutto con i formaggi e il prosciutto di San Daniele DOP… che è l’abbinamento migliore!

A questo punto non ti resta che assaggiare e gustare qualche fetta di questo meraviglioso prosciutto! Buon appetito!

La Pitina: un salume friulano d’eccellenza

Cos’è la Pitina: la sua origine

La Pitina è un salume che deve la sua origine alle zone montane del Friuli Venezia Giulia, in particolare le tre valli della Val Tramontina, Valcellina e Val Colvera. Si tratta di un salume di umile origine ottenuto dall’affumicatura e stagionatura di un impasto di più carni che venivano lavorate dalle comunità del territorio per far fronte alla necessità di conservare la carne il più a lungo possibile. Questo cibo è il frutto di una lunga tradizione caratterizzata da un’economia di sopravvivenza che ha fatto sorgere il bisogno di inventare nuove tecniche di conservazione per conservare la poca carne disponibile.

L’origine della Pitina è legata alla necessità delle popolazioni montane di conservare la carne il più a lungo possibile, al fine di avere una buona scorta di proteine da consumare durante l’inverno. Quando c’era a disposizione della carne, questa non veniva mangiata tutta subito ma spesso veniva usata per fare la Pitina: le parti meno pregiate venivano battute fino a diventare una poltiglia che si divideva poi in piccole polpettine.

Queste polpette venivano impanate nella farina di polenta, l’unica cosa che le rendeva edibili e soprattutto, l’unica cosa disponibile nelle case dal momento che i maiali in montagna non venivano allevati. La Pitina è un salume infatti, non un insaccato, come molti credono quando chiedono se devono togliere il budello prima di mangiarla. In montagna i maiali erano difficili da gestire perché, essendo onnivori, erano un diretto concorrente dell’uomo per quanto riguarda l’alimentazione. Nelle zone montane era molto più diffuso l’allevamento di erbivori perchè grazie alla loro alimentazione e alla produzione di latte risultavano in sintonia con i bisogni dell’uomo.

Il tradizionale metodo di produzione

Il nome “Pitina” si è originariamente diffuso in Val Tramontina, i primi produttori dei quali è rimasta traccia sono gli abitanti che nel 1800 vivevano nelle frazioni di Inglagna e Frassaneit, nel comune di Tramonti di Sopra. Come anche il resto dei salumi, veniva prodotta nei mesi invernali, quando il clima risulta asciutto e si riesce a maturare la carne senza problemi e senza fare muffe.

La ricetta originaria prevede ingredienti poveri come ad esempio le parti delle carni meno pregiate che venivano sgrossate, ripulite dalle componenti adipose e dai tendini. L’impasto era costituito da una parte, prevalentemente magra, di carne di specie ovina, caprina, capriolo, daino, cervo e camoscio e una parte, prevalentemente grassa, di pancetta o spallotto di suino. Nella preparazione dell’impasto le carni venivano sminuzzate su un tagliere chiamato “pestadoria” con un pesante coltello chiamato “manarin” e quindi ricomposte in polpettine con l’aggiunta di una concia, costituita da sale, pepe, aglio, vino rosso ed erbe aromatiche. Le polpettine, chiamate Pitine, venivano poi passate nella farina di mais e quindi messe ad asciugare al fumo del camino, chiamato “fogher” o “fogolar”. Dopo essere stata affumicata, comincia la stagionatura, processo che permette di soddisfare l’esigenza, dettata dalla povertà, di conservare più a lungo i cibi.

L’affumicatura fortuita

L’affumicatura, insieme al sale, avevano lo scopo di conservare la Pitina per lunghi periodi. Nonostante il sale fosse il principale conservante, anche il fumo aiutava la conservazione. È interessante conoscere una curiosità che si cela dietro la sua affumicatura. La storia dell’affumicatura si lega alle antiche abitazioni di montagna, nelle quali ci si riscaldava con la legna che produceva molto fumo anche all’interno delle case. Non era raro infatti che anche le persone avessero i vestiti intrisi dell’odore di fumo.

A quell’epoca l’affumicatura non era stata pensata appositamente per la conservazione ma era il risultato del processo di produzione del tutto naturale. In altre parole, come tutti i salumi anche la Pitina ha bisogno della fase di fermentazione, momento in cui avvengono le trasformazioni chimiche per le quali i salumi si stagionano e si conservano anche a temperatura ambiente e per un lungo periodo. Per procedere con la fermentazione, c’era bisogno di calore, veniva così messa nel “fogolar” in cui ovviamente era presente anche del fumo: in questo senso la Pitina veniva affumicata naturalmente.

Lo scopo principale infatti era quello di far asciugare la carne per velocizzare la fermentazione e procedere con la stagionatura ma, allo stesso tempo, avveniva un’affumicatura quasi per caso. Le umili condizioni in cui vivevano le popolazioni di montagna tendevano a rendere ogni attività molto produttiva per cui il “fogolar” che riscaldava le case soddisfava più bisogni: quello di proteggersi dal freddo, quello di cucinare e per quanto riguarda la Pitina, grazie al calore fermentava, si asciugava e si affumicava.

Pitina IGP

La Pitina non può essere chiamata tale se non è presente la certificazione IGP che attesta e garantisce le specificità geografiche del prodotto. La certificazione tutela anche il consumatore poichè lo rende consapevole delle caratteristiche del prodotto che sta mangiando e dei suoi metodi di produzione.

Marchio UE dei prodotti IGP
Marchio UE dei prodotti IGP

Come si mangiava una volta e come si mangia oggi

Soprattutto per questioni igieniche, originariamente la Pitina si mangiava esclusivamente cotta per aver la sicurezza di mangiare un cibo che non causasse problemi. A quell’epoca infatti rappresentava l’unica scorta di proteine presente nelle case, da consumare nei mesi invernali. Veniva solitamente cucinata nel brodo, mangiata con la polenta o in alternativa, utilizzata nelle zuppe per insaporirle. I piatti che si preparavano erano caratteristici di un’economia di sussistenza per cui non erano molto elaborati.
Oggi invece, si mangia soprattutto cruda e il suo uso più particolare è legato all’estro degli chef. Il suo uso odierno rispecchia le esigenze di oggi e molto spesso la possiamo trovare anche in piatti gourmet.

La chef Lorena De Sabata ha ideato per Fattorie Friulane una ricetta in cui la Pitina è protagonista, scopri la Ricetta dell’orzotto! Per la preparazione dell’orzotto servono prodotti di qualità che puoi trovare nel nostro e-commerce fattoriefriulane.it!

 

INGREDIENTI
Orzo
Asparagi bianchi interi e in crema
Pitina
Olio Extravergine
Formaggio stravecchio
Verdure fresche per la preparazione del brodo

PROCEDIMENTO
Tagliare le verdure, metterle in una pentola con dell’acqua per la preparazione del brodo. Portare a bollitura il tutto. In un’altra pentola soffriggere con l’olio extravergine il cipollotto tagliato in piccoli pezzi. Aggiungere l’orzo, un pugno per porzione e cominciare a ricoprirlo con il brodo. Ogni volta che si asciuga, aggiungere altro brodo. A cottura ultimata, aggiungere la crema di asparagi, 2 cucchiai a persona. Mescolare il tutto e mantecare con l’olio extravergine che grazie al suo sapore si abbina molto bene agli asparagi. Per aggiungere sapore, grattugiare un po’ di formaggio stravecchio.
Per l’impiattamento aggiungiamo gli asparagi interi e la Pitina tagliata a cubetti. Buon appetito!

La Pitina di Borgo Titol

Logo Borgo Titol
Logo Borgo Titol

L’azienda Agricola e Agriturismo Borgo Titol è uno dei produttori di Pitina IGP del Friuli Venezia Giulia che si trova nel cuore delle Dolomiti Friulane. Borgo Titol produce formaggi e salumi tipici e mette a disposizione delle camere dove soggiornare per godersi il bel paesaggio e il buon cibo. L’azienda fa parte di un’associazione formata da quattro produttori di Pitina che permette di essere tutelati nell’uso del marchio.

Pitina IGP di Borgo Titol
Pitina IGP di Borgo Titol

Abbiamo chiesto al proprietario di Borgo Titol chi compra la Pitina e se ci sono dei clienti affezionati a questo alimento, ci ha risposto: “La comprano sia persone giovani sia persone anziane. C’è anche chi viene apposta per il comprarla. Una volta, un signore è arrivato apposta da Milano per comprare la Pitina, ha soggiornato da noi per due giorni e alla fine è tornato con una grande scorta, anche per i suoi amici. Insomma, chi viene qui, spesso non va via senza la nostra Pitina.”

Approfondimenti

La Pitina ha ricevuto vari riconoscimenti: